Ieri, come nuovi vicini di casa, si sono trasferite delle persone di colore. Credo siano Arabi, o qualcosa del genere. Che schifo. Chissà da dove vengono. Sicuramente arrivano qui a rubarci il lavoro. Che vergogna… e il nostro governo che fa? Li fa entrare, come se non ci fosse crisi.
Ma guardali. Fosse uno capirei, ma questi qui arrivano con tutta la famiglia al seguito: nonni, zii, bambini. Chissà poi come li crescono, questi bambini. Parlano quella loro lingua orribile, che pare t’insultino ogni volta che ti parlano. Giocano a fare i padroni della situazione e subito ti ritrovi circondato. Mangiano cibi strani… roba che non metterei in bocca neanche se morissi di fame. Eppoi cucinano con tutte quelle spezie e puzzano da morire. Forse è perché non si lavano. Tanto, lì dove stanno loro, nessuno si lava.
Prima che arrivassero si stava bene, da queste parti. Invece ora c’è sempre casino. Gente che va e che viene. Tutti seri, alcuni pure un po’ loschi. Fanno quei ritrovi religiosi… come si chiamano? Quelli in cui uno parla e tutti giù in ginocchio a giurare di convertirci tutti — uno a uno…. e, perché no?, ad ammazzare quelli che non si piegano. Loro la violenza ce l’hanno nel sangue. Glielo inculcano fin da bambini.
Un po’ come la storia delle donne. Come si azzarda quello lì a parlare con mia figlia? Quando torna gliene dico quattro a quella stupida. Prima ti lusingano con tutte le loro fanfaluche, poi quando meno te l’aspetti ti ritrovi a fare la schiava in chissà quale bordello in mezzo al deserto.
Vorrei che non fossero mai arrivati. E’ chiaro che ci saranno problemi. Cani maledetti… se fosse per me chiuderei le frontiere. Altro che immigrazione.
Beh, guardiamoci in faccia. Sono i discorsi di una persona normale oppure di un paranoico? Credo che qualunque persona ragionevole non si identificherebbe mai con la totalità di queste affermazioni, né con il tono con cui sono state espresse. Salvo poi però aderire (come fanno alcuni) a correnti che hanno il testo sopra come loro presupposto. L’esito, poi, è decisamente ridicolo.
Recentemente (29 Novembre 2009) in Svizzera è passato un referendum contro i minareti. 57,5% Sì (al divieto). Il problema è però il seguente: non è passata una legge, bensì un emendamento della costituzione, cioè l’aggiunta di un capo all’art. 72, che ora recita:
Art. 72 Chiesa e Stato
- Il disciplinamento dei rapporti tra Chiesa e Stato compete ai Cantoni.
- Nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni possono prendere provvedimenti per preservare la pace pubblica fra gli aderenti alle diverse comunità religiose.
- L’edificazione di minareti è vietata.
Ora, tutto ciò è ridicolo per il semplice fatto che una tale norma viola i caratteri di una legge riconosciuti come basilari dalla giurisprudenza internazionale. Il primo è il criterio di astrattezza: la norma deve far riferimento a una fattispecie astratta, altrimenti si parlerebbe di diritto speciale e non di diritto comune/generale. Inoltre, è violato il criterio di generalità, poiché la legge è ad personam e fa infatti riferimento a un gruppo limitato di persone giuridiche (le comunità islamiche) che rappresentano persone fisiche. Notevole è poi l’inclusione del capoverso nell’articolo 72 (Chiesa e Stato) e non in un articolo che riguarda la conservazione estetica del paesaggio (come ad esempio l’art. 78). Per la cronaca: i minareti in Svizzera sono solo 4.
Anzi, a dirla tutta, ogni obiezione di carattere legale a questo mio discorso è presto eliminata: la Svizzera gode già di norme che consentono a Comuni e Cantoni di regolamentare l’aspetto paesaggistico. Quanto al frastuono del Muezzin (forse inferiore a quello delle campane di una Chiesa, tuttavia insolito in mezzo alle Alpi), esistono normative contro il disturbo della quiete pubblica. Insomma: le leggi c’erano già tutte a tutelare il cittadino “disturbato”. Si trattò quindi di un chiaro attacco a una comunità specifica. Roba da violazione dei diritti dell’uomo.
Procedendo logicamente: se l’attacco è specifico, mi viene a cadere (implicitamente) l’art. 15 della Costituzione svizzera, cioè quello secondo cui:
Art. 15 Libertà di credo e di coscienza
- La libertà di credo e di coscienza è garantita.
- Ognuno ha il diritto di scegliere liberamente la propria religione e le proprie convinzioni filosofiche e di professarle individualmente o in comunità.
- Ognuno ha il diritto di aderire a una comunità religiosa, di farne parte e di seguire un insegnamento religioso.
- Nessuno può essere costretto ad aderire a una comunità religiosa o a farne parte, nonché a compiere un atto religioso o a seguire un insegnamento religioso.
Mentre qui, mi pare, siamo davanti a una violazione dell’art. 36:
Art. 36 Limiti dei diritti fondamentali
- Le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base legale. Se gravi, devono essere previste dalla legge medesima. Sono eccettuate le restrizioni ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti evitabile.
- Le restrizioni dei diritti fondamentali devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui.
- Esse devono essere proporzionate allo scopo.
- I diritti fondamentali sono intangibili nella loro essenza.
…Cioè una limitazione sproporzionata rispetto allo scopo.
Si salva invece il principio di autodeterminazione dei popoli, a quanto pare. Un popolo può mettere quello che vuole nella sua Costituzione. Anche cose stupide o prive di senso. Da un lato, dunque, il trionfo della democrazia… ma dall’altro? Mi prendo la libertà di postulare che, nel momento in cui limita arbitrariamente la libertà di una confessione religiosa (libertà che, intendiamoci, è limitata pur non confliggendo con nessuna altra norma), uno Stato diventi paragonabile a uno Stato confessionale pur non essendo dichiaratamente tale. Qui l’adeontico (non devi) si assimila al deontico (devi): lo Stato non dice “devi credere in…“, ma dice: “non devi credere in…“. De facto, si comporta come uno Stato confessionale. Sicuramente non è il contenuto della legge, ma è lo spirito con cui essa è stata proposta… da persone che hanno chiare in testa le distinzioni e le specifiche di cui sopra e che preferirebbero uno Stato confessionale tout court.
Voi, “da Occidentali”, come reagite dinanzi a uno Stato confessionale? Beh, se non disturba i turisti, con una semplice scrollata di spalle. Sul tavolo internazionale, tuttavia, si tiene ben a mente che quel tale o quel tal altro provengono da una nazione che non ammette alternative e, di fatto, viola l’Art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:
Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.
“Sia in pubblico che in privato”. Nella Svizzera cantonale non è possibile manifestare il credo tramite l’erezione di un edificio (minareto) non per motivi estetico-paesaggistici sanciti dai singoli comuni o cantoni, ma per motivi relativi al rapporto tra Stato e Chiesa = Nonsense.
Questo però non vuole essere un comizio anti-Svizzero. E’ invece uno spunto di riflessione su quante volte troppo spesso ci contraddiciamo nel sostenere l’una e l’altra cosa. Lo sforzo di coerenza ci pone invece dinanzi all’abisso della scelta. Ciò non significa che sia necessario essere coerenti a tutti i costi: non siamo dei calcolatori. Tuttavia, nel momento di giustificare a noi stessi e agli altri le nostre scelte, è stato osservato (in 300.000 anni circa) che è molto più conveniente essere ragionevoli anziché non esserlo — almeno nella maggior parte delle situazioni. Nel dire ciò mi rendo conto di aderire ad un pensiero universalista che ha caratterizzato la nostra cultura (Europea o simil-europea). Tuttavia mentirei se affermassi che tale universalismo ci domina: come nell’esempio della Svizzera, pare che ultimamente sia molto poco “occidentale” aderire al pensiero illuminista il quale, benché frutto del nostro divenire storico (e pertanto parte della nostra tradizione), sembra non essere così diffuso come si crede.
Nel predicare la ragionevolezza delle scelte e, quantomeno, la coerenza nelle decisioni pubbliche (dove l’ambiguità crea solo conflitti infecondi), incarno parte del geist occidentale e perciò non sono pienamente super partes. Saremo però d’accordo nel dire che è preferibile essere uomini del nostro tempo con queste convinzioni e con la Dichiarazione Universale alle spalle (fatta salva la sua “libertà di cambiare nel tempo”), piuttosto che difendere un Occidente “minacciato” contravvenendo però ad uno dei suoi prodotti più raffinati. Un po’ come accadrebbe se ponessimo l’embargo alle nazioni produttrici di caffè per non farci “invadere” — rinunciando però all’Espresso all’italiana.
Mi chiedo però quali paure attanaglino l’uomo per spingerlo a chiudersi. Alcuni, ad esempio, temono la scomparsa delle tradizioni. Ora, ammettendo (come fanno costoro) che le tradizioni sono un valore che vale la pena conservare, mi chiedo di quali tradizioni stiamo parlando? Sicuramente è deleteria una politica che non incentiva le tradizioni, soprattutto per il contributo che esse danno all’identità. Se, tuttavia, esse si perdono, la motivazione non è da ricercare nell’ultimo arrivato, bensì in coloro che ne erano portatori. Se non è sentita, una tradizione cade e scompare e per quanto ci si sforzi di implementarla, solo gli animi dei cittadini potranno tenerla in vita.
D’altra parte quali sarebbero le tradizioni a rischio? La Cristianità? Eppure in Italia c’è libertà di culto: chi vuole può aderirvi senza problemi. Sicuramente non sono a rischio il Panevìn, il Brulè, Poenta e Osèi, etc!!! Forse il dialetto è un po’ a rischio: uno Stato può di certo finanziare gli istituti che mirano alla sua diffusione e conservazione, ma se non lo si parla nelle case, c’è poco da fare. Mi chiedo quindi cosa stia mettendo a rischio tutta questa immigrazione: di certo non le tradizioni — per metterle a rischio bastiamo noi stessi.
Qualcuno, allora, parlerà di sicurezza. Ben venga: la questione sembra così cruciale che oramai persino i partiti di Sinistra ne fanno una bandiera… Ma in questa sede non c’è spazio per la politica dei partiti, bensì per la politica in senso habermasiano: saper essere cittadini, interrogarsi su cosa è giusto e cosa non lo è.
Parlando di sicurezza, è innegabile che, dati i legami profondi tra la terra natale e l’individuo, è necessaria una sufficiente disperazione economica e/o esistenziale per spingere qualcuno a trasferirsi definitivamente. Il migrante porta sulle sue spalle un inevitabile carico di problemi e criticità che sarebbe difficile mappare appieno: nel nostro caso, ciò che temiamo sono le situazioni di degrado, l’aggressività incontrollata, il mancato rispetto delle leggi, etc… Si tratta di paure certamente ragionevoli (rispetto a quelle del testo d’esordio in corsivo).
Un’interessante ricerca, tuttavia, mostra come troppo spesso si dimentichi che non c’è correlazione tra aumento di popolazione e aumento dei crimini, che molto spesso gli stranieri non sono solo potenziali criminali, ma anche potenziali vittime, che spesso le denunce a loro carico vanno a buon fine a causa della loro mancanza di mezzi e sostegni adeguati, etc… Inoltre, in un’Europa che vede il numero annuale di denunce abbastanza stabile nel corso degli ultimi anni, è tuttavia interessante notare come continui a condizionare gli elettori il sussistere della microcriminalità (la cui incidenza a livello patrimoniale è molto bassa) rispetto invece al crimine organizzato e ai grandi reati (politici, aziendali, etc.).
Qual è l’acquisizione concettuale più grande della nostra civiltà? Alcuni risponderanno subito: “la democrazia!”. Secondo me, invece, è il nostro concetto di “Umanità“. La nostra cultura è una di quelle che è stata capace di estendere l’anthropos a tutta la specie umana nel modo più esteso e inclusivo possibile. E’ certamente un retaggio del cristianesimo, ma anche di un Illuminismo che, di tutte le direttive già presenti nel tessuto culturale europeo, ha saputo cogliere quella più universale e vasta. Una concezione che ci permette di identificarci potenzialmente con qualunque individuo incontriamo, riconoscendo in lui ciò che è simile a noi e arricchendoci grazie alla sua differenza anziché respingerlo aprioristicamente come “disumano”. C’è molto di tribale nel concepire come degno d’attenzione solo ciò che appartiene al nostro gruppo.
Si tratta di ideali, certamente. Nel concreto vi sono molte difficoltà, ma sta a tutti tentare di sviluppare il conflitto nel modo più proficuo per entrambe le parti (win-win situation), poiché si sostiene spesso che la perdita per uno costituisce una perdita per tutti. D’altra parte, però, questi ideali vanno a farsi benedire quando si combatte per un tozzo di pane… ma, a quanto pare, non siamo ancora giunti al livello di gettare le idee e tirare lo sciacquone.