Forse, come mostra il caso dell’Egitto, a garantire l’unità nazionale è la condivisione delle risorse… ben più dell’identità culturale.
Mai come un tempo si osserva come l’omogeneità geofisica e geoeconomica siano fondamentali per la pace intra-statale. I confini naturali furono scelti dalla notte dei tempi in quanto facilmente difendibili, tuttavia essi sottendevano ad un’altra facilità: la congrua e uniforme distribuzione delle risorse in un Paese.
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Fonte: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ac/Nile_composite_NASA.jpg |
A sostegno di quest’idea, consideriamo appunto il Nilo: per numerosi Stati che dipendono dalla stessa risorsa idrica le alternative sono la gestione comune o la guerra. Quest’ultima scaturisce dagli egoismi nazionali, mentre la prima è il segno di una maturità politica.
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Fonte: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e6/PostSoviet_Regions_Map.png |
Il problema dell’idea di omogeneità geografica è che si tratta di un concetto troppo generale: talvolta lingua e cultura contano più delle risorse; una storia comune può essere d’aiuto. Grandi tradizioni statali, inoltre, difficilmente si sfaldano senza tensioni e parimenti è difficile l’unità di corpi e istituzioni abituati a pensare se stessi come autonomi e indipendenti l’uno dall’altro.
Si pensi all’Italia o all’Europa: a che ingrandimento prospettico dobbiamo osservarle per scoprire differenze o omogeneità? A che livello d’analisi corrispondono i vari denominatori comuni? E’ sufficiente la peninsularità? Oppure la “cisalpinità”? In alternativa, potremmo riferirci ai bacini idrografici (Po e Pianura Padana), oppure alle configurazioni oro-geologiche (in cui le isole fan da sé)? Ancora, non dimentichiamo i mari, che suggeriscono realtà differenti (Adriazia docet)… ma allora cosa unisce e cosa divide i Paesi mediterranei da quelli del Nord?
La conclusione è conciliante. La teoria emerge più marcatamente in quelle situazioni, come appunto i Paesi del Nilo, in cui la dipendenza da un’unica risorsa è esacerbata — cioè portata all’estremo. Non diremo tanto “un fiume: una patria”, bensì “un fiume: una risorsa: il dovere di cooperare per non distruggersi a vicenda”. Nei Paesi come l’Italia, invece, la demografia, la cultura, l’edilizia e i tipi di risorse sfruttati hanno raggiunto una complessità tale che l’omogeneità sia geografica che culturale non sono oramai più sufficienti a giustificare una separazione. E’ fatto dunque obbligo (morale) di interagire con diversi sistemi che non possono non essere integrati tra loro: macro-aree di omogeneità culturale, integrate con micro-aree economicamente omogenee che parzialmente si sovrappongono (l’area del mobile, della scarpa, del Prosecco…).
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L’Europa nel 1870 |
Ridicolo insomma pensare di poter tornare indietro e tracciare i confini dove scorrono i fiumi. Ogni divisione definitiva porterebbe con sé la morte di alcune dimensioni che nella complessità avevano trovato la propulsione a unirsi… e non è detto che si tratti di dimensioni negative, anzi! Comprendere che le nostre prospettive sono quelle di una geografia complessa significa pensare ben oltre l’idea di Nazione in senso culturale, ma anche ben oltre l’idea di Stato intesa come monolite amministrativo. D’altra parte, però, se il frazionamento conduce a una rinuncia della collaborazione (ossia a sistemi non integrati tra loro) ecco che avremo mille Sudan e mille Egitti che si fronteggiano e si contendono il bonum commune degenerando nel conflitto e, conseguentemente, nella povertà.
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L’Europa come una regina: 1570 ca. |
Questa è l’ennesima di una lunga lista di sfide europee non risolvibili con idee generiche (come quella proposta in apertura) né con l’indefessa e acritica adesione ai valori artificiali che chiamiamo Stato o Nazione.