Le prime impressioni che non contano
Le prime impressioni contano… Certo, è difficile pensare per davvero che quanto una persona può esprimere di sé si possa capire in breve arco di tempo. Eppure, ci hanno sempre detto che per preparare un colloquio di lavoro efficace, per fare una buona impressione, occorre costruire con grande cura quello che sarà l’impatto che avremo sull’esaminatore. Ci giochiamo tutto – così dicono – in pochi minuti, dopo i quali non ci viene data una seconda possibilità. E questo perché, appunto, è la prima impressione quella che conta. Del resto, ci si innamora se c’è quel “colpo di fulmine”…
Tutto ciò non vale però soltanto nel lavoro e negli affetti, se guardiamo ad alcune patologie vediamo facilmente che queste portano con sé una “prima impressione”, un’etichetta – che rappresentano per gli individui un vero e proprio stigma. Ecco che è facile affiancare a chi soffre di AIDS parole quali “drogato”, “omossessuale”, “prostituta”, “spacciatore”, ma anche, in alcuni casi, “povero”. Questo ventaglio di termini sta a dire che, in fondo, l’AIDS è il risultato di comportamenti devianti e che chi ne soffre se l’è cercata. Chi si ammala merita la malattia.
La realtà è molto più complicata di quello che delle etichette possono esprimere: delle semplici parole, infatti, niente dicono delle persone interessate, e neppure chiariscono le loro storie personali, né come hanno contratto l’infezione o, ancora, che cosa significhi per loro la malattia. Si tratta, allora, di smetterla di etichettare le persone, e fare la fatica di conoscerle, e magati scoprirsi più simili a loro di quanto, inizialmente, si credeva. Per fare ciò, bisogna essere consapevoli che pochi minuti non bastano. E non bastano soprattutto quando le prime impressioni non contano.