Adriazia · fantapolitica · http://schemas.google.com/blogger/2008/kind#post · indipendentismo · insurrezione · linguaggio · longobardo · m.o.n.a. · mare adriatico · mona · Occidente · polenta · ponente · ponentone · satira · tirrone

Di fantapolitica, riforma concettuale e d’altre magagne sofiste

Durante la pausa caffè del tardo pomeriggio, mentre le temperature calano in questa Primavera-che-non-è-una-Primavera (“che fretta c’era?“), ho rimuginato a lungo sui rischi legati al linguaggio ordinario e su come la sua efficacia in termini semantici dipenda dalla teoria della verità che un tale linguaggio incorpora.

Il pensiero è subito balzato lungi da queste coste rese minacciose da correnti, squali e meduse, per giungere volteggiando a più ridenti lidi… i lidi del Mare Adriatico. Ne è nata questa accozzaglia di pensieri, un po’ elaborati da me medesimo e un poco ispirati ai già esistenti manifesti del monumento. Sono solo cartacce, sia ben chiaro, tuttavia hanno lo scopo di chiarire — con un approccio eclettico — i rischi e i benefici di un certo vocabolario che, nell’esperienza del Movimento Organizzato Nazionalisti Adriatici (M.O.N.A.), è pian piano venuto a costituirsi.

Mi sono altresì interrogato circa il luogo migliore cui consegnare la custodia di questo mio piccolo scritto. Quasi immediatamente, la scelta è ricaduta sul blog del Kantiere Misto. Il commitment mio privato è politico nel senso in cui questo aggettivo (“politico”) è compreso da gran parte degli Italiani; non si debba però ritenere che tale mia disposizione d’animo debba per forza essere condivisa unanimemente. Ragion di più per ricorrere a questa associazione di cui sono membro come agone in cui gettare queste quattro idee: il commitment del Kantiere, infatti, resta politico nel senso che Giovanni Paolo Pasquali (di cui vi consiglio un recente libro) definirebbe “habermasiano”. In senso dunque habermasiano il Kantiere è sì politico: è politico perché rispetta le idee di tutti, perché si confronta con la società… e lo fa continuamente, per vie pratiche: mettendosi in gioco, portando le competenze dei propri membri al servizio di tutti, offrendo spazi liberi per liberi dibattiti.

E’ dunque avendo in mente questo commitment generale che sono onorato di potermi servire di questo spazio del Kantiere non per fare becera propaganda, ma per suggerire un dibattito critico (seppur interno a un gruppo che ha l’interesse nel diffondere le proprie idee). Rivologo dunque il mio ringraziamento al Kantiere Misto poiché consente a tutti noi di accedere al suo spazio (Spazio?) in cui mettere alla prova la dinamica interazione tra idee e azioni.

Detto questo, cioè terminato il doveroso elogio nei confronti del Mecenate, ecco che segue questa mia dissertazione, forse apocrifa…

Ortelio, Theatrum Orbis Terrarum (retrieved from www.viaggioadriatico.it)

Vox populi: “Ponentone!”, “Tirrone!”, “Mongobardo!”

…Vorrei mettervi a parte di un mio cruccio circa il concetto di “Ponentonismo”, che consiste in ciò che mi piacerebbe definire come “Ponentizzazione dell’avversario polemico”. Si tratta di una critica della caratterizzazione del Ponente come negativo in generale, poiché — a mio dire — questo processo rischia di trasformarsi in un boomerang concettuale. [notare come padroneggio bene le metafore locali!]
In altre parole, vi prego di volare col pensiero, almeno per un attimo, al nostro solido futuro: l’unità dei Popoli Adriati (o Adriatici). Ebbene, figuratevi che queste schiere gioiose finalmente si uniscano per fronteggiare un nemico comune, identificato per convenienza con il Vil Ponente. Ebbene, una volta vinta la sfida per l’indipendenza, cosa resta di questi concetti aberranti che sono stati marchiati a fuoco nella memoria degli indipendentisti?

Si rischia quanto segue: mentre prima il Ponente de facto caratterizzava una negatività e perciò lo si combatteva, successivamente il Ponente diventa il crogiuolo di ogni negatività. Si finisce dunque per sostituire il negativo all’Occidentale, caratterizzando ogni Occidentale come negativo. Questo potrebbe portare a lotte intestine, che causerebbero superflue e fattizie divisioni sia teoriche che pratiche, circa chi degli Orientali meglio rifiuti l’idea di Occidente.

Pensando l’Occidente come unilateralmente negativo, rischiamo di innescare una dialettica per cui le rive dell’Adriatico finiranno per condannare come Ponentoni i paesini immediatamente nell’entroterra e Venezia stessa si troverà ad essere dipinta come “ponentizzata” dai Triestini, per mere ragioni geografiche. Non parliamo poi dell’eventualità di “una gloriosa adesione dei Dalmati“, che allora sarebbero legittimati a chiamare “Ponente” quella che per noi è l’Oriente d’Italia (non in senso Massonico, bensì Adriatico, perdio!). I Dalmati stessi vivono un’ambiguità identitaria, ossia la forzata alternativa tra l’identificazione delle loro origini con una sorta di colonialismo fascista (ipoteticamente radicato in una specie di imperialismo veneziano) e la totale e anti-storica assimilazione delle loro origini con quelle di una sorta di pan-slavismo coatto. Entrambe le posizioni, si noterà, pur cogliendo le tensioni di certi periodi (dittatura di Mussolini, dittatura di Tito…), sono storicamente infondate se si considerano corsi storici nemmeno troppo lunghi circa la romanizzazione dell’Adriatico e la sua successiva Venetizzazione — entrambe non necessariamente conflittuali.

Come uscire da questr potenziali impasse? Ebbene, la mia proposta è che si ricordi sempre che noi prima cerchiamo il male (“priorità del male”) e poi, per convenienza, lo identifichiamo in termini geografici. La definizione di Ponentismo è pertanto empirica, sintetica e non analitica e metafisica. Poiché quel Ponente è causa di dolori, ecco che lo identifichiamo come male. Non è causa di dolori in quanto Ponente… semplicemente le problematiche di cui è foriero sono genealogicamente giunte a sovrapporsi con un’area geografica, ma non per questo significa che ogni area geografica con quelle caratteristiche sia automaticamente identificata come male.

Mi immagino già il dibattito. Alcuni ipotetici oppositori Adriati di questo mio pensiero potrebbero invocare una sorta di determinismo, per il quale si finisce per riconoscere che il fatto che il Ponente sia tale e quale (cioè dominante, malvagio, inimico) è anche frutto della sua posizione geografica che l’ha, giocoforza, favorito nel suo lassismo e nelle sue mire di sfruttamento. Ben venga, dico io, ma ancora una volta stiamo mostrando che quella posizione geografica (l’Occidente) è causa forse necessaria, ma non sufficiente per una Ponentizzazione come noi la vediamo: essa ha di certo offerto l’occasione per una sottomissione dell’Est, ma ciò non significa che ogni Ovest sia automaticamente un Ovest dispotico. A questo riguardo, si potrebbero portare molti controesempi, come quello della West Coast americana, giaciglio di puerpere della democrazia.

Riassumiamo. Il dilemma è: “Poiché il nostro Occidente è negativo, ne deriva forse che tutti gli Occidenti siano negativi?“. Risposta (molteplice):

(1) No, perché il nostro è un caso particolare che non ci legittima nell’induzione;

(2) No, perché noi stessi siamo l’Occidente di qualcosa;
(3) No, perché l’identificazione assiologica in termini geografici (in altre parole: l’attribuzione di male e di bene in termini geografici) è conseguente e non precedente ai fenomeni storici che hanno condotto alla produzione di questo male.
(3bis) No, perché la nostra assiologia geografica è una proposizione sintetica e non analitica.

Qualcuno dirà allora: “Perché non usare il concetto di Mongobardaggine o di Tirronismo?”. Io credo che non abbia senso sostituire una parola a un’altra nella speranza di eliminare le incomprensioni. Mongobardaggine porta con sé un dilemma analogo circa la storia dei popoli: non si deve lasciar credere che la radice Longobarda sia la causa della villania dell’Occidente, bensì bisogna puntualizzare che la villania giace proprio nel “cattivo uso” che si fa di questa storia. Mi sia consentito di citare Nietzsche: “Uso e abuso della storia”. Il problema, si vedrà, non è né la natura Tirrena, Longobarda od Occidentale di questi popoli, genti, partiti, etc. Il problema è il cattivo uso che hanno fatto di queste loro radici: hanno usato la propria storia come una scusa per assoggettare [subject], sfruttare [exploit] e discriminare [discriminate] l’Est.

E’ pertanto con tono polemico che in Adriazia si suole far ricorso a fantasiosi attributi [mock-adjectives] (Mongobardo, Ponentone, Tirrone) che distorcono gli epiteti collegati a queste radici: il nodo semantico della questione è proprio nella distorsione delle parole stesse. Nel dire Mongobardo anziché Longobardo, si sottolinea la denuncia di un cattivo uso delle radici Longobarde (un vero abuso) da parte di alcuni rappresentanti di quei popoli che in quelle radici si identificano… la distorsione, che genera mostri, non è dunque da ascrivere all’Adriate, bensì al lìder [leader] occidentale stesso: l’Adriate, nel dire “Mongobardo”, si limita a descrivere “una degenerazione che di fatto è stata osservata nel modo in cui quelle genti hanno interpretato le loro radici Longobarde” (o Occidentali, o Tirrene, etc.).

Si ribadisce dunque il valore descrittivo dei termini Mongobardo, Ponentone e Tirrone. Ciò che descrivono non è però una identificazione dello storico e del geografico come intrinsecamente negativi. La descrizione consiste invece nella presa d’atto di una degenerazione avvenuta entro le categorie interpretative di quei popoli che in tali tradizioni storicamente si identificano.

Ciò compreso, ecco che osserviamo come l’atteggiamento adriate sia innovativo nel sorridere amaramente di questi “abusi” dei luoghi e della “storia” — abusi anche materiali, come quelli edilizi: non solo concettuali!

L’Adriate, nell’osservare tale degenerazione, esprime il suo orientale spirito contemplativo.
Non pago, egli fa di questa degenerazione oggetto di derisione e proprio per questo esprime la consapevolezza della limitatezza di tali prospettive, togliendo — per così dire — il trono da sotto le terga del sovrano: sottraendo serietà alla visione che Ponentonizza l’Occidente, Mongobardizza la radice Longobarda, e Tirronizza il Tirreno, le toglie anche il potere di dominarci e di sottometterci.
L’Adriate, poi, può avviare una contro-rivoluzione pragmatica e concettuale prendendo spunto positivo dall’antitesi di questi atteggiamenti negativi. In altre parole:costoro usano la loro storia per dividersi da altri e discriminarli? L’Adriate usa la propria storia per unirsi ad altri popoli e stabilire una continuità. Loro sfruttano il vantaggio economico di una posizione geografica per trionfare e soggiogare? L’Adriate trasforma lo svantaggio in una giustificazione per promuovere il progresso equo e sostenibile (industrialmente, culturalmente ed ecologicamente) delle sue regioni. Loro tematizzano l’élitismo a partire da presupposti geografici? L’Adriate, al contrario, si appoggia alla topografia diffusa delle città e alla spazialità ideale tracciata da rotte mercantili e conoscitive per riscoprire una comunanza e una comunitarietà con spiriti affini, senza allo stesso tempo pretendere l’adeguamento da parte di coloro che si dichiarano diversi.

  Così facendo, l’Adriate riconosce di opporre una ideologia positiva a una negativa, nella speranza comunque che tale ideologia positiva a un certo punto cessi di essere necessaria poiché, una volta vinta la lotta, essa non avrà più bisogno di essere propagandata in termini ideologici, poiché la sua natura spiccatamente critica le consentirà di evolvere e svilupparsi in termini adattivi e non conflittuali alla realtà dinamica cui si rapporta.

Perciò, se a livello superficiale possiamo paralre di uno scontro ideologico e partitico (Adriati contro Ponentoni), al di sotto di questo velo si scopre uno scontro più radicale… cioè quello del pensiero critico (che dunque sa anche criticare se stesso e sconfiggere le proprie negatività) contro il pensiero reazionario e acritico, costretto per forza di cose a ideologizzarsi, cristallizzandosi e morendo per assenza di movimento.

Così intesa, si passa con molta naturalezza dall’Adriazia satirica all’Adriazia interpretativa e, perché no?, anche progettuale e dunque realizzabile.

Quanti volti si sono specchiati in queste acque?

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